La “terza pena” dell’ermafrodito
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Nel carme dell’ermafrodito di Ildeberto di Lavardin (epigr. 23 SCOTT) il protagonista racconta le
modalità della sua morte, che confermano il vaticinio di tre divinità (Apollo, Marte e Giunone),
consultate dalla madre mentre era in attesa di lui. Egli morì contemporaneamente trafitto da una
spada, impigliato nei rami di un albero che fungevano da laccio (crux) e cadendo in acqua. Come
è confermato dalle fonti antiche, la morte di spada è quella tipica degli uomini, quella di laccio delle
donne, mentre quella per annegamento era riservata agli ermafroditi. Si spiega pertanto perché l’ermafrodito
dichiari di morire da maschio, da femmina e come un essere che non partecipa di nessuno
dei due sessi (neutrum).
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