Sono studiate le iscrizioni di alcuni scribi di Tebe e di Pilo: dalle diverse grafie emergono interessanti
aspetti fonetici e dialettali che rivelano situazioni linguistiche differenti. I testi di Tebe della
fine del XIII secolo presentano una situazione fonetica più conservativa rispetto ai testi di Pilo che
sono dello stesso tempo.
Nelle tavolette micenee di Pilo ricorre il lessema ka-ra-wi-po-ro, comunemente inteso come “portatrice
di chiavi”, che rimanda all’ambito cultuale. Nel presente contributo vengono prese in esame le singole
occorrenze e, alla luce del contesto e del cotesto, si cerca di chiarire e delineare la fisionomia e le
funzioni di questa figura sicuramente di primo piano nella società micenea.
Si vuole confutare la teoria dell’origine ungherese della lingua etrusca, o quanto meno dell’appartenenza
dell’etrusco alla famiglia linguistica uralo-altaica. Fonetica, morfologia, lessico indicano
piuttosto un contatto – molto marginale – fra tirreno (soprattutto tirreno d’Asia, cioè lemnio) e lingue
uralo-altaiche, ugro-finniche in particolare, tramite le lingue indo-anatoliche (precipuamente ittita, in
quanto è la meglio documentata). Anche la documentazione storica indica chiaramente che gli
ungheresi raggiunsero il bacino dei Carpazi solo alla fine del IX sec. d.C., provenendo dalla regione
delle steppe caspio-pontiche.
Lo sfruttamento del sacro da parte di Temistocle con finalità politiche emerge chiaramente da due
episodi risalenti al 481 e al 480 a.C.: egli si sarebbe servito nel primo caso di due oracoli delfici e
nel secondo di un presunto prodigio per trovare conferme alla propria linea politica e per persuadere
i concittadini ad appoggiarla. L’analisi, che si sofferma anche sui problemi di natura cronologica
che coinvolgono le vicende considerate, tenta di spiegare le divergenze tra le due fonti principali
(Her. VII 140-144; VIII 41; Plut. Them. X), ricorrendo anche al confronto con altre fonti, e
mostra a quali modalità operative Temistocle abbia fatto ricorso per manipolare la volontà popolare
nelle riunioni assembleari che discussero gli oracoli e il prodigio.
Con la figura di Telefo, arcade, re di Misia e progenitore, secondo Licrofone, degli Etruschi, il mito
arcade passa in Italia, come quello di Enea, attraverso l’Etruria. A causa dell’identificazione, presso
gli antichi, degli Etruschi con i Pelasgi, questo mito può essere collegato anche con la presenza,
attestata dalle fonti, dei Pelasgi in Arcadia.
This essay began as an attempt to localize the scenic games for Apollo. The site is an easy inference
from a notice of Livius, but this conclusion must then be put to the test by a discussion of parallel
cases. It quickly became apparent that there are many other questions about the Apolline games
which either have not been answered correctly or have never yet been raised. No effort has been
made here to discuss or even merely to cite every reference to the Apolline games in our sources.
The focus remained instead upon problems, but the problems were so legion that the result is a rather
complete account of the Ludi Apollinares of the republican period. Topics treated include the original
type of the games, the numismatic evidence for the program of the circus games, the founding by
C. Piso in 211 of games in existence from 212, the reason why the people was laureate at the games,
the financing of the games, the significance of the choice of the urban praetor as president of the
games, a familial or gentilitial claim after 212-211 to the presidency of the games and hence to the
urban praetorship, the ostensibly tardy or rather the ostensibly precipitate decision to make the games
permanent in 208, the nature of the venatio of the urban praetors, the incidence of munera during
the urban praetorship, the significance of the scaena praebenda introduced in 174-173, the obligation
of members of the political class to attend the games, a new stage in the lengthening of the
festival, the exact date of the de Othone of Cicero, the identity of the president of the games in the
year 63, and the underlying reason for the opposition to a stone theater in Roma.
Nel gennaio del 43 P. Cornelio Dolabella, proconsole di Siria ormai schierato su posizioni filoantoniane,
ordina l’uccisione del governatore d’Asia, G. Trebonio, tra gli ispiratori del cesaricidio ora
impegnato nella difesa della causa repubblicana. Deciso da Dolabella e giustificato da Antonio come
primo atto di ultio Caesaris, l’assassinio di Trebonio, derubricato invece a manifestazione di crudeltà
e così delegittimato sotto il profilo politico, diviene argomento incisivo nella polemica di Cicerone
all’indirizzo di Antonio, presentato come l’ispiratore del gesto. I recenti contatti attivati da Antonio
con gli eredi politici del dittatore nel nome della comune vendetta ed inaugurati dall’accordo del 44
con Dolabella per l’attacco ai Cesaricidi in Occidente e in Oriente impongono all’Arpinate di esperire
un ulteriore, fallimentare, tentativo di denigrazione di Antonio. Proprio a quest’ultimo nel 43 forse
si dovette, attraverso Ottaviano, la riabilitazione di Dolabella.
In Calp. Sic. VI 71 s’individua la presenza di un cliché figurativo di ascendenza epicurea, quello
dell’antitesi fra giaciglio modesto e sontuoso, eletti a simbolo di opposti genera vitae, mutuato da
Lucr. II 29-36, forse attraverso la mediazione del finale delle Georgiche, e si analizza lo scarto
semantico fra la ripresa calpurniana e i modelli del testo.
Il perist. 4 è uno scritto martiriale sui generis, in cui si ritrova una raffinata struttura retorica. Non
è una passio nel senso tradizionale del termine e neanche si può definire una laus urbis, come si è
detto a torto in tempi recenti. Se consideriamo la caratterizzazione ‘geografica’, che in maniera
unitaria lega le diverse parti dell’inno, bisogna ravvisare in esso un ordo urbium nobilium della
Spagna cristiana, incentrato sulla città di Saragozza. In esso Prudenzio tiene presente l’Ordo urbium
nobilium di Ausonio, dandogli tuttavia un contenuto martirialmente cristiano e ‘spagnolo’. Poiché
anche Ausonio ricorda nel suo Ordo alcune città della Spagna, possiamo pensare che nel comporre
il perist. 4 Prudenzio abbia voluto cristianizzare questo genere letterario, contrapponendogli uno
scritto costituito in prevalenza dalle città della Spagna più famose per le reliquie di martiri ch’esse
accoglievano dentro le proprie mura.
Il presente articolo cerca di affrontare la discussa questione del valore storico del Chronicon di
Arbela, documento siriaco del VI sec. d.C. sulla cui autenticità, almeno, oggi non sembrano più
sussistere i gravi dubbi che in passato erano stati avanzati. Sono proposti, su fronti diversi, molteplici
argomenti che contribuiscono a mostrare come il Chronicon sia un documento affidabile, che presenta
numerosi riscontri con fatti e situazioni attestati per altre vie. Anche se, come tutte le fonti, non va
trattata senza una prospettiva critica, questa opera storiografica sembra offrire una documentazione
di notevole interesse.
After a postscript on two manuscripts of Lucretius discussed in earlier articles, opinions are offered
on the hands that wrote or annotated various manuscripts and printed editions and on the material
that they used. Reasons are also given for identifying the lost Memmianus with Q and against crediting
Nicolaus Heinsius with the invention of the apparatus criticus.
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